domenica 22 agosto 2010

"Una giornata al centro" Parte prima


Recenti statistiche pongono il nostro paese tra i primi al mondo per numero di anziani rispetto alla popolazione media. Questo dato che sembra rincuorare i più poiché è indice del buono stato di salute della popolazione italiana, è tuttavia accompagnato da un altro, in netta controtendenza, che indica che nel nostro paese il numero delle nascite è calato progressivamente dagli anni 60 ad oggi. Come sappiamo questo dato se da un lato sembra confortare coloro i quali vedono allungare il proprio destino di vita, dall’altro, in una previsione a lungo termine deve invece metterci in un ottica di necessario riequilibrio.
Una vita che si allunga è ovviamente il risultato di una serie di fattori che incidono positivamente sul benessere di una popolazione; la dieta “mediterranea”, il clima ed una certa educazione alla salute hanno promosso uno stile di vita sano che ha prodotto, col passare degli anni, il superamento di una soglia di età, i 60-70, che fino al secolo scorso sembrava essere proibitiva. Un paese con un alto numero di anziani, nell’immaginario comune, può essere percepito come un paese maturo, solido, capace di sfruttare l’esperienza e la tempra della propria gente, questa percezione, in parte veritiera, dall’altro lato mostra il fianco a tutta una serie di debolezze che accompagnano l’ultima fase della vita di ciascuno di noi.
La vecchiaia è infatti il momento in cui le facoltà psichiche si affinano e il bagaglio di esperienze costruito durante l’intero iter esistenziale inizia ad operare come compensatore a quei piccoli segni di cedimento che il corpo inizia a manifestare. Vengono ad incontrarsi due istanze contrapposte, la mente forte dell’esperienza e il corpo reso fragile dal passare del tempo.
Sempre più spesso, e sono altri dati statistici ad informarci di ciò, lo stato di salute fisico intacca progressivamente anche la mente e le sue funzioni, imbrigliandola e costringendola a fare i conti con l’età. Tra le diverse patologie legate all’età scuramente le demenze sembrano incarnare meglio questo attacco del corpo alle funzioni della psiche e tra queste la demenza di Alzheimer è quella che in Italia e nel mondo sembra farsi largo con maggiore forza e pervicacia.
La demenza di Alzheimer è una sindrome cronico degenerativa che colpisce il cervello e le funzioni ad esso associate. Questa specifica tipologia di demenza limita progressivamente le funzioni del cervello, le sue competenze specifiche, provocando anche uno sconquasso emotivo sia nel soggetto colpito che nella famiglia che gli è accanto. Le capacità sulle quali ha sempre fatto affidamento vengono ad essere gradualmente limitate ed il raggio d’azione a cui la persona è abituata diminuisce giorno dopo giorno, limitandone lo spettro.
La persona colpita da Alzheimer vive questo attacco alla propria identità opponendo una serie di sentimenti e comportamenti che spesso scuotono il sistema famiglia sin dalle fondamenta. La persona, che sente un progressivo limitarsi delle proprie capacità, passa dalla preoccupazione, all’ansia fino alla paura che porta necessariamente ad una rassegnata chiusura verso il mondo esterno.
Questo processo a cascata rischia di accelerare gli effetti distruttivi dell’Alzheimer, anticipando anzi tempo il momento in cui la persona diventerà completamente dipendente dai propri familiari.
Parlare di riabilitazione nella demenza di Alzheimer è piuttosto utopico si deve al contrario puntare su una costante e articolata stimolazione plurima dei sensi e delle funzioni cognitive, in modo da non lasciare mai il passo alla cavalcante regressione strutturale e funzionale causata dall’Alzheimer. L’imperativo può essere pertanto solo quello che si affida alla stimolazione e sollecitazione delle competenze conservate in attesa che i progressi medici possano ovviare alle carenze provocate dalla demenza.

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