domenica 22 agosto 2010

"Una giornata particolare" Parte seconda

Tuttavia raccolsi la sfida e nonostante facessi finta che la cosa non mi preoccupasse affatto, i giorni passavano troppo rapidamente e mi conducevano direttamente al giorno prefissato per la simulata. L’ansia sempre ben controllata aumentava e la notte alcune immagini davano corpo alle mie preoccupazioni.
Tuttavia il tempo è democratico e passa nonostante tutto.
Giorno stabilito ore 9:00
Arrivo a lavoro e sistemo le mie cose nella stanza che mi è stata assegnata. La osservo con calma e con occhi più da “ospite” che da “ospitante”, in fin dei conti li sul letto ci sono le mie cose, per terra le mie ciabatte e addosso non ho il camice ma un maglione.
Con cura sistemo lo spazzolino e il deodorante nel bagno e mi accorgo di essere stato un disastro nell’organizzare la valigia, molte cose necessarie sono bellamente riposte nei pacifici ed ignari cassetti di casa mia.
Finito di organizzare le ultime disordinate cianfrusaglie inizio un progressivo avvicinamento alla sedia a rotelle. Ci scrutiamo con diffidenza ma purtroppo non ho scelta, come non ce l’ha nemmeno lei. Scansati gli ultimi indugi mi accomodo e sistemo, negli spazi liberi, il blocco che riporterà tutte le mie riflessioni della giornata, gli occhiali e la bottiglietta d’acqua, per ogni evenienza.
Sedersi su una carrozzina ha qualcosa di sacro, è come sedersi su un simbolo che racchiude con forza una serie di significati tutti con connotazioni fortemente contrastanti, è di ferro ma ti rende impotente. Da una strana sensazione, è avviluppante, comoda e accogliente, ma solo all’inizio perché sai che da lì non ti rialzerai più.
Provo una forte resistenza a farmi vedere in pubblico, vergogna è la parola più appropriata. La vergogna di scherzare con qualcosa di tragico, il timore di essere frainteso da chi in quella condizione vive in maniera permanente, ma è una cosa che sento di dover fare e cha da troppi giorni mi rincorre. Allora muovo i primi passi con i raggi, mi faccio coraggio e provo a farmi vedere.
Provo da subito ad impennare con la carrozzina, per provare che sono ancora forte e giovane, ma è solo un rigurgito che fermo immediatamente, devo infatti sperimentare la dipendenza, la non autosufficienza allora mi fermo e aspetto che qualcuno venga a prendermi.
Aspettare, credo sia questo uno dei verbi più esperiti da un anziano, aspettare che mi portino, che mi diano da mangiare, che mi portino al bagno, il passivo diventa un paradigma dominante, non è più la prima persona singolare a regolare il quotidiano, ma la quasi totale dipendenza dagli altri.
Di li a pochi minuti un assistente viene e si sistema dietro di me per portarmi nella sala centrale.
Essere spinti dà un certo brivido indefinibile, vorrei godermi l’andatura rapida, ma ho paura di sbattere e di non potermi fermare in tempo. Fortunatamente trovo “parcheggio” e tra gli sguardi indecifrabili degli altri anziani mi chiudo in un mutismo elitario.

Nessun commento: